martedì 3 novembre 2015

. . . una visione superata d'intendere il lavoro.

L'ambiente di lavoro non deve essere un carcere ma un luogo dove si forniscono delle prestazioni in base ad un ruolo e limiti di responsabilità assegnati.

Ci sono dei ruoli dove il rispetto dell'orario di lavoro è indispensabile ed inevitabile: se esercito l'attività di controllore di volo ovviamente il servizio deve essere coperto in modo continuativo e non posso abbandonare il mio posto di lavoro se non arriva il sostituto ma ci sono dei ruoli dove la durata dell'attività lavorativa non è vincolante ma quello che è determinante è la quantità e la qualità dell'attività svolta.

Per intenderci: in molte attività lavorative si può svolgere il proprio compito in tempi completamente diversi in funzione delle capacità e dell'impegno profuso pertanto posso fornire le mie prestazioni in tempi completamente diversi.

Per questi tipi d'impiego, a mio modo di vedere, timbrare il cartellino per un controllo del tempo di permanenza in ufficio, è un procedimento assolutamente superato e per certi versi umiliante. L'ufficio diventa un vero e proprio carcere dove devo trascorrere delle ore senza avere una vera e propria attività da svolgere perché essa e il relativo compito che mi è stato assegnato è stato già esaurito.

Orario lavorativo assolutamente flessibile per questi tipi di impieghi, non tempo speso ma il volume delle attività svolte deve essere il metro di valutazione.

Quanto detto sopra no è una rivoluzione. Nei paesi a cultura anglosassone, dove il concetto di responsabilità personale è molto più radicato, queste pratiche sono in uso da decenni.

Per anni ho frequentato il mondo del lavoro svedese, in particolare una multinazionale farmaceutica, ebbene per un esperto di aspetti regolatori in procinto di preparare un dossier di un prodotto l'orario di lavoro e/o il posto di lavoro era assolutamente irrilevante. Quello che era determinante era la qualità del documento preparato e la "deadline" stabilita con il management nulla più!